La salvezza è destinata a tutti
La liturgia ci presenta il tema della Soteriologia, cioè della Salvezza. Risuona nelle nostre orecchie la domanda che qualcuno, non identificato, ha posto a Nostro Signore nel Vangelo di oggi: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.
Innanzitutto, è importante comprendere il concetto di salvezza per il popolo ebraico, che si traduce in salvezza per il Popolo Eletto, cioè per il popolo che attende la promessa della venuta del Messia, che verrà a salvare il popolo eletto da questo esilio dalla terra. Questa è l’aspettativa della parte ebraica. Ma sappiamo che si è già compiuta nella vita di nostro Signore Gesù Cristo, il Messia promesso.
Inoltre, la comprensione della salvezza per un popolo eletto è limitata a un solo popolo. Nella prima lettura vediamo un’altra realtà contraria: la salvezza è destinata a tutti. Qualcosa di inconcepibile per il popolo ebraico, soprattutto nei confronti dei popoli di altre nazioni e dei pagani. Tuttavia, questa è la grande novità espressa da Isaia: non c’è distinzione, separazione, esclusione. Cioè, l’accesso al Regno, alla vita piena e alla felicità, è un dono che Dio offre a tutti gli uomini e le donne, senza eccezioni. Anche i pagani saranno chiamati a testimoniare la Buona Novella di Dio e invitati al servizio di Dio, senza alcuna discriminazione.
Questa è la notizia che anche l’evangelista Luca racconta nel suo Vangelo e negli Atti degli Apostoli: il Regno dei Cieli è per tutti. Luca, di origine pagana, fu raggiunto dalla Misericordia di Dio quando fu evangelizzato da San Paolo. E nel Vangelo di oggi, Gesù dichiara che le porte del Regno, la salvezza, sono destinate a tutti coloro che aderiscono al suo progetto di vita. Ma c’è una condizione. La salvezza ci è stata garantita dall’offerta di nostro Signore Gesù Cristo sulla croce: siamo stati salvati in Gesù Cristo. Pertanto, è necessario che la nostra parte qui sulla terra, da pellegrini quali siamo, prenda possesso della salvezza che ci è già garantita. E questa parte che spetta a noi è assumere la vita che Nostro Signore ci propone, e la porta è stretta.
Non una vita di agevolazioni e privilegi, ma “entrare per la porta stretta” significa, nella logica di Gesù, farsi piccoli, semplici, umili, servi, capaci di amare gli altri fino in fondo e di fare dono della vita. In altre parole: significa seguire Gesù nel suo esempio di amore e donazione. Qui si inserisce la via della sofferenza, come Cristo stesso l’ha vissuta e assunta.
Nella seconda lettura, l’autore della Lettera agli Ebrei ci offre una riflessione bella e impegnativa sulla sofferenza. L’autore invita i cristiani ad accettare le correzioni e i rimproveri di Dio come atti pedagogici di un Padre preoccupato della felicità dei suoi figli. La domanda fondamentale ruota attorno al significato della sofferenza e alle prove che ognuno di noi deve sopportare. Per l’autore della Lettera agli Ebrei, la sofferenza non è un castigo, ma piuttosto un rimedio, una pedagogia di cui Dio si serve per farci maturare e insegnarci a vivere: è la porta stretta che dobbiamo lottare per attraversare ogni giorno, che ci farà raggiungere il premio che ci è riservato, la vita eterna, la nostra salvezza.
I nostri cuori siano grati a Dio, per il suo immenso amore che ci ha salvato attraverso suo Figlio Gesù Cristo. Lodiamo Dio, perché sappiamo di avere accesso alla salvezza, che è la nostra liberazione dal peccato e dalla morte. Ogni giorno, possiamo avere un cuore disposto a vivere tutto per Gesù, tutte le prove, le sofferenze, le rinunce, in vista della salvezza promessa da nostro Signore.
Padre Leonardo Ribeiro
Comunità Canção Nova